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21 gennaio 2011

Le vessazioni sul lavoro senza supremazia nè soggezione sono violenza privata.




La condotta moralmente e psicologicamente violenta e minacciosa nei confronti del lavoratore integra il reato di violenza privata e non di maltrattamenti in famiglia o di mobbing se manca lo stato di soggezione e supremazia sul lavoratore. (Sentenza della Corte di Cassazione del 21 dicembre 2010, n. 44803)
Il caso riguardava i rapporti tra un lavoratore ed il capo-officina, quindi non datore di lavoro e pertanto privo di potere direttivo e disciplinare.

La Suprema Corte infatti, in merito alla configurabilità del reato ex art. 572 c.p.  “Maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli”, osserva che, nell'ambito di un rapporto di lavoro, tale reato si configura allorquando il rapporto interpersonale tra soggetto agente e soggetto passivo sia caratterizzato da un potere autoritativo esercitato, di fatto o di diritto, dal primo sul secondo.
Tale situazione, tradizionalmente tipica dell’ambito familiare (rapporti marito-moglie, conviventi, figli e genitori) è stata successivamente estesa anche ai rapporti di lavoro. In tale ipotesi, ai fini della configurabilità del suddetto reato, è necessario che il soggetto agente versi in una posizione di supremazia non solo formale ma sostanziale, tale da tradursi nell’esercizio di un potere direttivo o disciplinare e rendere, quindi, in uno stato di apprezzabile soggezione, anche di natura morale e psicologica il soggetto passivo.
Nel caso della citata sentenza, non potendosi riconoscere una vera a propria “supremazia-soggezione” tra il lavoratore ed il capo-officina, i giudici della Suprema Corte, hanno ritenuto che non sia configurabile il reato di maltrattamento (art. 572 c.p.) né quello di mobbing (art. 62 bis c.p.) bensì il reato di violenza privata continuata aggravata (art. 61 n. II c.p.).