Il comma 31 dell'articolo 2, Legge n.92/2012 (riforma Fornero), ha previsto un contributo di licenziamento a carico dei datori di lavoro, da versare all'INPS, nei casi di interruzione del rapporto di lavoro avvenute a partire dal 1 gennaio 2013 e che darebbero diritto all'ASpI.
Una recente indagine della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro ha stimato in circa 225
milioni di euro il contributo che le imprese dovranno versare per l'anno
2013, per effetto di un'interpretazione forzata sul ticket
licenziamenti, formulata nella recente circolare INPS n. 44/2013.
Dai dati in possesso dei Consulenti del Lavoro è stato calcolato che nel corso dell'anno potrebbero perdere il posto di lavoro 643000 unità e per questi lavoratori, le aziende saranno tenute a versare un contributo all'INPS superiore a quanto stabilito dalla legge, mettendo ulteriormente in crisi i fragili equilibri economici delle piccole e medie imprese italiane, già provate dalla recessione.
Dai dati in possesso dei Consulenti del Lavoro è stato calcolato che nel corso dell'anno potrebbero perdere il posto di lavoro 643000 unità e per questi lavoratori, le aziende saranno tenute a versare un contributo all'INPS superiore a quanto stabilito dalla legge, mettendo ulteriormente in crisi i fragili equilibri economici delle piccole e medie imprese italiane, già provate dalla recessione.
A tale proposito è stata presentata un’interrogazione parlamentare riguardante
l'articolo 2, comma 31, della legge n. 92 del 2012 nella quale si osserva che la
relazione illustrativa del provvedimento prevede che il contributo di
licenziamento sia soltanto una delle forme di finanziamento della nuova
ASpI, e non l'unica fonte di finanziamento.
L’INPS sostiene che il contributo sarebbe scollegato dall'importo della
prestazione individuale e, quindi, dovuto nella stessa misura, a
prescindere dal tipo di rapporto full-time o
part-time; il contributo va rideterminato in proporzione al numero dei
mesi di durata del rapporto di lavoro e non in funzione di una anzianità
multipla di 12 mesi, inoltre si considera mese intero quello in cui la
prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni di
calendario.
Nell’interrogazione si legge che
l'interpretazione fornita con la circolare, con riferimento ai rapporti a
tempo parziale, oltre a non trovare alcun fondamento nel testo della
legge e nei principi generali che regolano il rapporto part-time,
determina un ingiustificato onere contributivo parificando lavoratori
che prestano l'attività per poche ore alla settimana con lavoratori che svolgono una prestazione a tempo pieno;
l'interpretazione, in riferimento alla misura del contributo rispetto
all'anzianità aziendale, è contraria alla legge poiché non è previsto
alcun riproporzionamento al mese, ma al contrario essa prevede
espressamente che sussista un'anzianità minima e/o multipla di 12 mesi, inoltre l'interpretazione che considera mese intero quello
in cui la prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni
di calendario non ha alcun riscontro nella legge, determinando l'obbligo
per le imprese di pagare il contributo intero anche se il lavoratore ha
svolto una prestazione per una parte del mese.